Nella seconda parte dell’enciclica Rerum Novarum (paragrafi 13-21), Leone XIII affronta il tema delle soluzioni alla questione operaia dopo aver confutato le tesi socialiste. Il Papa, parlando a nome della Chiesa, propone una via fondata su giustizia, carità e concordia tra le classi sociali, invitando anche lo Stato a collaborare per il bene comune.
Il Pontefice chiarisce che non è possibile eliminare le disuguaglianze sociali: la diversità tra gli uomini — per ingegno, salute, capacità e risorse — fa parte dell’ordine naturale. Il problema non è dunque la differenza tra le classi, ma lo scontro che ne deriva. Per questo il Papa propone un nuovo modello di società fondato sulla concordia, in cui ricchi e poveri si sostengano reciprocamente come membri di un unico corpo.
La prima virtù necessaria è la giustizia, che impone doveri reciproci: gli operai devono rispettare il lavoro e i beni dei padroni, mentre i datori di lavoro devono garantire condizioni dignitose, tempo per la vita religiosa e una retribuzione giusta, evitando lo sfruttamento e l’alienazione familiare.
A questa base si aggiunge la carità, virtù superiore alla giustizia, che invita a considerare gli altri come fratelli e non come nemici. La carità trasforma le relazioni sociali e permette di superare l’invidia, l’odio e l’avidità.
Il Papa ricorda anche che la ricchezza non è un male in sé, ma lo diventa se usata solo per sé stessi. I beni devono essere condivisi e orientati al bene comune, secondo la loro destinazione universale. Infine, Leone XIII esalta la povertà evangelica come valore spirituale e umano, capace di nobilitare i poveri e di umiliare i ricchi, invitandoli alla sobrietà e alla solidarietà.
Su questi principi — giustizia, carità, uso corretto dei beni e povertà — si fonda la virtù suprema della Rerum Novarum: la fraternità sociale.


