Nel suo trattato sul sacerdozio, San Giovanni d’Avila riflette sull’identità e la missione del sacerdote, in particolare nel primo capitolo dedicato alla “ragion d’essere del sacerdote ministro”. Riformatore del clero spagnolo e figura centrale della Controriforma, egli afferma che tra tutte le opere che DIO compie nella Chiesa, l’ufficio sacerdotale occupa il primato per eccellenza, poiché è tramite il sacerdote che i fedeli ricevono i sacramenti, segni concreti della grazia divina.
San Giovanni d’Avila sottolinea l’importanza che il popolo cristiano riconosca questo dono e preghi per i sacerdoti, specialmente prima della celebrazione eucaristica, poiché in essi è presente GESU’ Cristo stesso. Egli invita i fedeli a comprendere e a usare saggiamente questo strumento scelto da DIO per santificare le anime. Avverte però dei rischi legati a un uso improprio del sacerdozio, come quando si chiede al sacerdote di essere psicologo, animatore sociale o semplice validatore delle nostre opinioni. Il sacerdote non è chiamato a questo, ma a proclamare la Parola di DIO, ad amministrare il perdono, a insegnare la preghiera e guidare la vita spirituale.
Quando si chiede al sacerdote ciò per cui è stato istituito, allora il suo ministero “funziona bene”, perché corrisponde alla volontà di DIO. L’autore ricorda la venerazione che i santi avevano per i sacerdoti: San Francesco, ad esempio, preferiva salutare un sacerdote piuttosto che un angelo, poiché solo il sacerdote può rendere presente Cristo sull’altare.
San Giovanni d’Avila conclude che l’altezza del sacerdozio non è paragonabile ad alcun altro ruolo terreno, neppure a quello dei re, poiché il sacerdote tratta direttamente con DIO a favore degli uomini.
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