Il Trattato sul sacerdozio di San Giovanni d’Ávila, nel primo capitolo “Ragion d’essere del sacerdote ministro”, si propone di fondare la dignità del sacerdozio. Il santo lo paragona dapprima agli angeli e alla Vergine Immacolata, poi cita i grandi Padri della Chiesa, tra cui San Gregorio Magno e San Bernardo.
San Gregorio afferma: “O venerabile dignità dei sacerdoti, nelle cui mani si incarna, come nel grembo della Vergine, il Figlio di Dio”. Egli sottolinea il rapporto profondo tra il sacerdozio e l’Eucaristia, poiché il sacerdote, durante la Messa, tiene nelle proprie mani lo stesso DIO che si è fatto uomo. L’universo intero resta attonito davanti a questo mistero: il cielo ammira, la terra trema, e l’inferno vacilla.
San Bernardo, a sua volta, esalta la santità delle mani consacrate e afferma: “Colui che mi ha creato senza di me, si crea per mezzo di me”. Queste parole esprimono la grandezza del ministero sacerdotale, attraverso cui Cristo si rende realmente presente nel tempo e nella storia per la salvezza dell’uomo.
La tradizione cattolica, in segno di venerazione, onora le mani dei sacerdoti — unte con il sacro crisma nel giorno dell’ordinazione — perché sono le mani che donano Cristo. Anche la liturgia antica ricorda questo mistero: durante la Comunione il sacerdote recita il Salmo 116, “Che cosa renderò al Signore per tutto ciò che mi ha dato?”, riconoscendo che tutto è dono e grazia.
San Giovanni d’Ávila conclude che non si può comprendere la dignità del sacerdozio senza riferirsi all’Eucaristia, dono supremo in cui si manifesta la presenza viva di Cristo. Non a caso, nel Giovedì Santo, Chiesa e sacerdoti celebrano insieme i due sacramenti più grandi: l’Eucaristia e l’Ordine sacro.


