Continuiamo la lettura delle omelie di San Carlo Borromeo sulla Divina Eucaristia. L’omelia in questione è stata pronunciata a Milano il 12 giugno 1583, nella domenica dopo Pentecoste.
Come spesso accade, San Carlo struttura l’omelia in due parti: una pars destruens, negativa, e una pars construens, positiva. Nella prima parte, il santo si chiede se i peccatori, cioè coloro che sono in peccato mortale, possano accostarsi alla Comunione. La risposta è un chiaro “no”. L’Eucaristia è un sacramento dei vivi e richiede lo stato di grazia. Chi è nel peccato deve prima ricorrere alla penitenza, “seconda tavola di salvezza dopo il naufragio”, per essere restituito alla vita spirituale.
San Carlo invita a non accostarsi indegnamente all’Eucaristia, ma a fare prima un cammino di conversione, confessione e direzione spirituale. Chi non può ricevere l’assoluzione dovrebbe comunque cercare un confronto con il sacerdote per orientare meglio la propria vita.
Nella seconda parte dell’omelia, San Carlo usa una metafora biologica: l’anima, come il corpo, ha bisogno di equilibrio e calore per vivere. L’olio è la grazia, lo stoppino è la concupiscenza, il calore è il desiderio disordinato. Solo l’Eucaristia mantiene l’equilibrio, alimentando la grazia e bruciando la concupiscenza.
Il santo difende con forza la comunione frequente, andando contro la prassi dell’epoca. Secondo lui, è proprio grazie all’Eucaristia che la Chiesa cresceva, i cristiani erano forti nelle persecuzioni, fedeli fino alla morte. Dove la Comunione si è diradata, sono subentrati debolezza, insicurezza, instabilità.
Conclusione spirituale molto concreta: iniziare con la comunione mensile, poi due volte al mese, poi ogni festa. Così, gradualmente, la vita spirituale diventa più salda e luminosa.


